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martedì 6 gennaio 2009

L'AMICO KARL

“Se vuoi trovare la sorgente, devi proseguire in su, controcorrente…” il verso è tratto da una famosa poesia di karol Wojtyla dedicata alla montagna, grande metafora dell’esistenza, e intitolata “la sorgente”. Il 15 luglio scorso la neve rapisce Karl Unterkircher (uno dei migliori scalatori italiani) sulle pendici del Nanga Parbat mentre con gli amici cercava di aprire una nuova via d’ascesa. Dal suo diario emerge la passione per il suo lavoro, la montagna, ma anche la sua profonda fede. Siamo qui per una missione- ha scritto Karl-. Quella parete, non mi esce dalla testa. Ci vorranno dieci-dodici ore per salire il seracco, mi chiedo se saranno ore inutili, ore che ci impediranno la salita. Cerco di riaddormentarmi, ma la mia mente è confusa da tante domande. La probabilità che il seracco piombi giù in quelle ore, è minima…di certo non è una roulette russa. Però mai dire mai. Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c’è la vita. Io la chiamo il mistero, di cui nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio e se ci chiama, dobbiamo andare. Sono cosciente che l’opinione pubblica non è del mio parere poiché, se non dovessimo più tornare, sarebbero in tanti a dire:”Che cosa sono andati a cercare là? Ma chi glielo ha fatto fare?”. Una sola cosa è certa: chi non vive la montagna non lo saprà mai. La montagna chiama. La montagna è lavoro per questa gente, ma non solo: è la natura, la sfida dell’esistenza che si presenta a chi vuole vivere e amare intensamente, giorno per giorno. È sfida con se stessi, per misurare e rafforzare le proprie capacità fisiche, mentale e spirituali. È rapporto con gli altri, scambio, solidarietà. La compagna di Karl ricorda così ad “Avvenire” la sua grande fede: Una fede che non riusciva sempre a manifestare, ma che sicuramente lo aiutava ad affrontare logni possibile sfida. Sapeva, che Qualcuno lo avrebbe protetto. E a Lui si abbandonava. Il parroco di Selva di Val Gardena, dove viveva karl, don Piero Clara, vuole evidenziare un fatto:Karl si dava alla montagna quanto si donava agli altri, aiutando chi si trovava nel bisogno qui in paese e alle popolazioni lontanissime, dell’Himalaya e delle Ande che veniva a conoscere durante le spedizioni. Una donazione su entrambi i versanti, senza limiti. I compagni di cordata(Simon kehrer e Walter Nones, superstiti) ricordano così quell’ ultimo giorno sul “Corriere della Sera”: Siamo ripartiti tranquilli, come se avessimo un navigatore in corpo. Invece avevamo solo il fanalino in testa e la luna piena che ci ha accompagnati nella notte. Abbiamo affrontato la spigolo slegati, ma li sotto ci sentivamo protetti perché scaricava sui due lati. Le regole le abbiamo decise prima di partire: fino a pendenze di 60 gradi si va slegati, distanti 50 metri. Ci siamo incantati di fronte all’alba , uno spettacolo incredibile: il rosso su un’infinità di bianco. Karl è davvero forte, non perde mai il buon umore, non sembra mai stanco. Ci dice:”ci fermiamo ad un autogrill a bere qualcosa?”. Siamo scoppiati in una sonora risata. L’unico rumore umano su quella montagna. Ci siamo studiati tutto il percorso con i binocoli e Karl ha una memoria di ferro, ricorda e soprattutto riconosce ogni pendenza, ogni crepaccio. Per lui osservare la parete è come leggere un libro. E noi ora stiamo imparando a farlo come lui. Gli ultimi 80 metri sono stati una faticaccia. Due tiri misti di ghiaccio e roccia, legati, perché i passaggi erano molto complicati. Ci abbiamo messo tre ore! Alla fine dello spigolo siamo finiti in neve fresca, poi un altro tiro per uscire da un seracco, poi ancora neve fresca. Che giornata infinita! Abbiamo scalato dalle 22 alle 16 del giorno dopo. Ci siamo macinati 2400 metri di dislivello. È questo il momento più difficile da ricordare e da scrivere ( inizia a parlare Simon ) “Vi piace? Non è bellissimo” ci ha detto Karl, con il suo solito sorriso contagioso. Ormai era ora di accamparci. Da lontano io e Karl abbiamo individuato un posto per la tenda. Gli ho detto di stare attento, che sembrava una crepacciata e lui:” vado a vedere”. Sono le ultime parole che gli ho sentito pronunciare. L’ho visto calpestare prudentemente la neve, passo dopo passo. Ero a tre metri. Ad un certo punto è sparito nella neve. Non l’ho sentito gridare, non ho sentito nulla. Ho pensato che fosse caduto i un crepaccio di 2-3 metri. Io non avevo messo in conto che potesse essere morto. Per me era come fosse immortale, e mi rendo conto che è una cosa stupida. L’ho chiamato, ho urlato, ma non rispondeva. Ho gridato a Walter che stava dieci metri indietro che karl era caduto in un buco, ma ho visto che pure lui stentava a capire.

“SONO STATO SEMPRE ATTRATTO DA QUELLA TORRE E NON AVREI MAI CREDUTO DI TROVARE UN’ARRAMPICATA COSI’ SPETTACOLARE”.Karl Unterkircher

Articolo tratto dalla rivista "Voce di Padre Pio"


Noi ragazzi della SAMI, comprendiamo perfettamente l'amore che karl avesse per la montagna e ci stringiamo al dolore della famiglia assicurando le nostre preghiere per loro.

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