Una passione nata in famiglia e tutt’altro che platonica ma anzi coltivata con scrupolo e praticata con estrema accuratezza.
Il Papa anche sul soglio pontificio non dimenticò la sua antica passione e il 20 agosto 1923, scrivendo al vescovo di Annecy affermò senza mezzi termini che "tra tutti gli esercizi di onesto diporto nessuno più di questo (...) può dirsi giovevole alla sanità dell'anima nonché del corpo. Mentre, col duro affaticarsi e sforzarsi per ascendere dove l'aria è più sottile e più pura si rinnovano e si rinvigoriscono le forze, avviene pure che coll'affrontare difficoltà d'ogni specie si divenga più forti pei doveri anche più ardui della vita".
A conferma del valore innanzitutto morale della pratica alpinistica, quasi sei anni dopo, commentando il 13 febbraio 1929 a studenti dell'Università Cattolica di Milano la recentissima firma dei Patti Lateranensi, Pio XI ebbe a confidare che "qualche volta siamo tentati di pensare (...) che forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini ed abituato ad affrontare le ascensioni più ardue".
Ma gli aspetti più propriamente tecnici finiscono per fondersi con quelli pastorali.
Pio XI nominò San Bernardo patrono di montanari e alpinisti, aggiunse al Rituale una formula specifica per benedire corda e piccozze e, in una lettera apostolica, arrivò a definire l’alpinismo come l’attività sportiva «più corroborante per la sanità morale e per la salute fisica».
Il collegamento ideale con Giovanni Paolo II è più che fondato. Non solo per l’intenso amore per la montagna condiviso dai due Pontefici. Ma anche per la capacità di entrambi di riuscire a guardare “oltre” le vette, ancora più su.
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